INTERVISTA A BOB E RITA RESNICK

Sep 23, 2022

INTERVISTA A BOB E RITA RESNICK

Robert W. Resnick, Ph.D., Psicologo clinico, è stato un terapista della Gestalt e delle coppie da oltre 50 anni e un formatore internazionale da quasi 50 anni. Formatosi (1965-1970) e certificato personalmente (1969) dai Drs. Fritz Perls e James Simkin, è il più giovane dei “vecchi”. Con orgoglio, il Dr. Resnick è stato scelto da Fritz Perls per essere il primo terapista della Gestalt a introdurre la Gestalt Therapy in Europa nell'estate del 1969. I Resnick sono felicemente sposati. Lo stile di Bob è caldo e coinvolgente e parla con chiarezza e umorismo.


Rita F. Resnick,  Ph.D., è stata presidente di facoltà del programma di formazione residenziale estiva europea Gestalt Associates Training Los Angeles (GATLA) dal 1991 e membro di facoltà dal 1986. Oltre allo studio privato in California, Rita forma psicoterapeuti negli Stati Uniti, in Australia e in Europa sia in Gestalt che in Terapia di coppia. I suoi interessi professionali includono l'esplorazione di approcci innovativi e di supporto alla supervisione e un interesse devoto, appassionato per l'area delle donne che invecchiano, della menopausa e della vitalità di mezza età. Nel 2016, Rita ha pubblicato un capitolo in  "Women in Gestalt Therapy", ed. Adriana Fecova e Breatrice Wimmer, "Voci di terapiste della Gestalt provenienti da Europa, Stati Uniti e Israele" che hanno contribuito allo sviluppo della terapia della Gestalt. Rita è nota per il suo calore, perspicacia e per la sua capacità di mettere in relazione chiaramente il lavoro clinico con la teoria. I Resnick sono felicemente sposati.


Piergiulio: Come avete cominciato e come vi siete sviluppati come specialisti di coppia?

Rita: È meglio che inizi tu, siamo partiti insieme, ma tu avevi già iniziato...

Bob: Mi è diventato chiaro, quando ho iniziato la terapia della Gestalt, quando è stato... nel ‘65, non c'era quasi niente sulle coppie, niente sulle relazioni, tranne sulle relazioni terapeutiche, ma non c'era niente sull'amicizia o sulle relazioni primarie e io mi sono interessato a questo in particolare. Penso che tutto il materiale fosse nella letteratura della Terapia della Gestalt, ma non era assemblato in nessun modo fruibile. Ad un certo punto, non so esattamente quando, Josef Zinker e Sonia Nevis hanno assemblato un modello di terapia di coppia che prendeva elementi dalla Terapia della Gestalt. Io ho preso da diverse parti dalla terapia della Gestalt, così avevamo delle similitudini, ma avevamo anche differenze importanti. Mi sembrava chiaro che la maggior parte delle psicoterapie riguardasse le relazioni e ciò nonostante, non c'era niente nella letteratura sulle relazioni al di fuori della terapia, questa era un'area in cui Pearls aveva molte difficoltà e così lui non ci ha mai prestato attenzione: questo successe probabilmente agli inizi degli anni ‘60, quando ho cominciato ad interessarmi a questo argomento.

Rita: Quindi, quando io e Bob ci incontrammo, agli inizi degli anni '70...

Bob: nel '72

Rita: …aveva già cominciato a fare delle presentazioni, qualche scritto sulle coppie ed io mi sono interessata a quello in cui era interessato lui. Cominciammo a fare ciò di cui abbiamo parlato ieri nella nostra presentazione introduttiva (formazione svolta il 7-9 marzo presso la Scuola Gestalt di Torino). Ci siamo interessati alla coppia e al modo in cui è vista e vissuta in varie culture. Abbiamo iniziato a mettere in discussione il modello dove “due diventa uno” e poi non c'è più nessuno poiché il modello di fusione e di unione non era un modello che noi usavamo particolarmente all'interno della nostra stessa coppia ed è un modello che noi non vediamo funzionare molto bene nell'ambiente in generale. Così abbiamo cominciato a parlarne e ad interessarci a questo ed a rifletterne in modo più teorico: pensavamo che fosse più utile fare questo e abbiamo iniziato a insegnare insieme. Le persone ci hanno fatto ancora più domande su quello che ci interessava e abbiamo continuato ad andare avanti così finché non abbiamo sviluppato qualcosa che noi pensavamo fosse diverso e interessante secondo i principi della Gestalt, ma guardando anche a come la società più in generale gestisce il problema delle coppie e - magari - cercando di fare qualcosa di diverso, un altro tipo di intervento. Come ho detto nella conferenza, anche molto semplicemente cominciare ad osservare le cerimonie di matrimonio che, almeno negli Stati Uniti, sostengono il fatto che “due diventino uno”, cosa che non dice molto sull'individualità e la coppia, il che è per noi abbastanza cruciale.

Bob: Quel modello è un ottimo esempio di come qualcosa che era molto presente e importante all'interno della Terapia della Gestalt, cioè la teoria del campo, non fosse applicata ncon le relazioni e con le coppie. Nessuno aveva mai guardato alle coppie attraverso le lenti della teoria del campo e appena lo si fa, allora si vede che è un carattere sociale creato in un'altro tempo, quando era utile ed appropriato. Ma il clima ora è cambiato, la gente ha cambiato le proprie abitudini, quindi adesso è fuori contesto: oggigiorno non è più contestualmente appropriato. Non è possibile adesso evitare di guardare al campo (campo o ambiente?) di provenienza, alla storia di un campo che incontra i bisogni di un'altra situazione (rivedi traduzione).

Piergiulio: Quindi avete fatto una specie di analisi sociale?

Bob e Rita: Sì, è giusto...corretto.

Bob: Un'analisi del campo con punti di connessione all’antropologia, alla sociologia, all’ecologia, alla politica, a molti livelli dell’organizzazione del campo, non solo alla psiche. Quindi come si può osservare qualcosa come il matrimonio senza guardare anche a tutto questo? Questo è un esempio, c'erano elementi nella terapia gestaltica che però non venivano usati per guardare alle relazioni ed ai modelli che le persone hanno da quando sono nate, modelli che sono già lì e che non si adattano più e non funzionano molto bene

Rita: Le aspettative che abbiamo quando ci sposiamo seguono gli stessi modelli, lo facciamo senza consapevolezza.

Piergiulio: Voi seguivate un modello?

Rita: Non tanto noi, quanto tutti quelli intorno a noi. Eravamo stati entrambi sposati prima. Io penso che nei nostri precedenti matrimoni abbiamo seguito quegli schemi e non funzionavano così bene. Quindi quando ci siamo incontrati, uno degli accordi che abbiamo fatto è stato quello di non dare niente per scontato, senza prima discuterlo, non dare nulla per assunto senza che prima venga coscientemente condiviso e non andare più avanti come abbiamo fatto nei primi matrimoni e davvero discutiamo ciò che funziona, piuttosto che semplicemente scivolare in un modo di essere che ci è stato insegnato senza molta consapevolezza. È quello che fai quando ti sposi: metti un anello al dito e fai certe cose, che ti piaccia o non ti piaccia.

Bob: Abbiamo vissuto insieme per dodici anni prima di sposarci e l'impegno che abbiamo preso sul matrimonio era un impegno relativo al processo: l'impegno era che non avremmo cambiato niente senza metterlo in discussione. Questa decisione rappresenta un punto di partenza nuovo, che azzera tutti i precedenti punti di partenza. 

Rita: Abbiamo anche fatto qualcosa di diverso nella nostra cerimonia di matrimonio: il tipico inglese nel giuramento dice “io ti amerò, onorerò e curerò fino a che la morte non ci separi” e noi non abbiamo detto questo. Noi abbiamo detto “io ti amerò, ti onorerò e ti curerò e sarò disponibile a dirti tutto ciò che succede dentro di me prima che io agisca o faccia qualcosa che può essere distruttivo per la relazione, ma non posso prometterti di amarti per sempre fino alla morte”.

Non so come faccio a promettere come mi sentirò tra dieci, venti, trenta o quarant'anni, non posso farti questa promessa, ma posso prometterti che io ti dirò che le cose stanno cambiando per me e mi posso impegnare a dirti le cose prima che io agisca e faccia qualcosa che possa disgregare la relazione.

Bob: Ciò che è importante in questo è che noi sosteniamo il prendere impegni, ma non l'impegno sul contenuto, perché tu non puoi mantenere un impegno sul contenuto, tu non puoi promettere come ti sentirai tra dieci anni o domani, tu puoi promettere il comportamento, ma non puoi promettere i sentimenti, quindi se tu cambi - da un impegno sul contenuto ad un impegno sul processo - allora lo puoi fare, io prometto di essere autentico con te, ti prometto di dirti la mia verità, anche se penso che non ti piaccia.

Rita: ….e anche se a me stesso non piace!

Bob: Io prometto di essere onesto con te, ti prometto di stare, di impegnarmi se abbiamo difficoltà, ma non ti prometto di stare per sempre. Quindi un impegno sul processo è qualcosa che tu puoi mantenere. Se un impegno sul contenuto viene disatteso devi rompere o far finta, diventa merda: la relazione si rovina perché non è più un luogo dove puoi essere te stesso, non è più un santuario personale e una casa, è un luogo dove devi mettere su un falso volto.

Piergiulio: Come spiegate la diversità del vostro approccio. Potete confrontare il vostro modello di terapia di coppia con quello di altre scuole di gestalt?

Rita: Sì, il nostro modello è diverso. Come abbiamo detto prima: mettiamo radicalmente in discussione il modello di matrimonio secondo cui due individui diventano uno solo. Non pensiamo che altre scuole lo facciano.

Bob: Nessuno lo fa, nella Gestalt e non solo.

Rita: La differenza rispetto ad altre scuole di Gestalt che lavorano sulla terapia di coppia, ad esempio nel modello di Joseph Zinker e Sonia Nevis, è che queste guardano a ciò che nella coppia funziona bene, hanno un atteggiamento “ottimistico”, cercano di vedere in che cosa la coppia funziona e provano a costruire su quello. Noi non guardiamo che cosa funziona e che cosa non funziona: ci concentriamo invece sul modo in cui le persone rappresentano se stesse, se in modo autentico o non autentico, quanto i bisogni fondamentali siano soddisfatti e quanto di ciò è collegato a una rappresentazione autentica. È un focus diverso: se io sono me stesso la maggior parte del tempo e mi rappresento in modo sincero - e anche tu ti rappresenti sinceramente - abbiamo possibilità di incontrarci? Non si tratta di cercare cose che funzionano o cose problematiche, ma essere più pienamente se stessi e incontrarci in questo modo. È un approccio diverso da quello della maggior parte delle altre scuole.

Bob: Nevis e Zinker, andando alla ricerca dei punti di forza, implicitamente cercano di fare in modo che la relazione funzioni. Noi cerchiamo di fare chiarezza. Il punto è “la relazione funziona quando entrambi sono autenticamente se stessi?” piuttosto che “Tu devi essere in un certo modo affinché la relazione possa funzionare” [Bob assume sulla sedia una postura strana, innaturale, per mostrare quanto una posizione può essere scomoda.]

Rita: Finché non ti viene un terribile dolore alla schiena o al braccio…

Bob: Dal punto di vista della terapia, non andiamo alla ricerca di un risultato particolare. Certamente, come persone, abbiamo delle preferenze. Se gli individui di una coppia stanno insieme da molti anni, non sono autentici l’uno con l’altro e desiderano la separazione - ma ci sono figli o altri familiari che ne soffrirebbero - noi riteniamo che valga la pena, ancora per qualche tempo, provare a relazionarsi in modo autentico con il partner e vedere che cosa accade. Se ci si frequenta da poco e la relazione non è soddisfacente, allora… arrivederci! Ma se c’è una famiglia, figli, una famiglia allargata, può valere la pena trovare un terreno comune, non per “far funzionare le cose”, ma per vedere cosa cambia, magari anche in peggio, nel momento in cui le persone si relazionano in modo autentico. Ogni individuo ha un proprio valore.

Il valore della terapia sta invece nel lasciare che la chiarezza determini il risultato, piuttosto che la chiarezza sia ricercata per perseguire un particolare risultato. C’è una grande differenza tra questi due approcci.

Il modello di Nevis e Zinker è simile a quello delle terapie costruttiviste postmoderne: è concentrato sulla soluzione del problema. Queste terapie cercano le eccezioni, ossia ciò che funziona e si impegnano a costruire su questo. Con questo approccio una coppia può anche funzionare un po’ più a lungo, ma così si sacrifica l’autenticità dell’individuo, che va ad assumere un atteggiamento non autentico, finge. Un risultato ottenuto fingendo è essenzialmente un risultato viziato.

Piergiulio: Il modello di Nevis e Zinker funziona meglio nella terapia individuale?

Rita: Pensiamo che abbia lo stesso problema: il ricercare un particolare risultato, qualcosa su cui costruire, anziché sostenere una sincera rappresentazione di sé. Se riesco a rappresentarmi in modo autentico, posso stare bene in qualunque situazione, senza dover cercare qualcosa su cui costruire uno stato di benessere.

Bob: Una relazione che funziona solo perché non sono me stesso è essenzialmente stressante. Sai di cosa parlo?

Piergiulio: So di cosa parli…

Bob: Se una relazione non funziona nel momento in cui sono davvero me stesso, allora quella relazione non è buona per me.

Rita: …a meno che io non sia davvero tarato, pazzo o ci sia qualcosa che non funziona in me.

Bob: Non diciamo che una relazione deve essere soddisfacente nel 100% dei casi. Ma se una relazione non soddisfa gran parte dei miei bisogni fondamentali, allora non fa per me e, prima me ne rendo conto, meglio è.

A meno che non ci sia qualcosa che non funziona in me o che sia pazzo potrò certamente stare bene con qualcuno, ma non tutti possono stare bene con tutti.

Piergiulio: Che cosa è il carattere per voi ?

Rita: Il carattere è una modalità rigida e fissa di essere nel mondo che è stata utile in passato quando ha rappresentato un atto sano, adattivo; tuttavia questa modalità è attualmente in corso e non consente il contatto dell’individuo con l’ambiente e con la situazione attuale. Un buon esempio è costituito da molte cose che si possono imparare quando si è bambini: se io vengo da una famiglia violenta posso aver imparato a rimanere ritirato ed evitare l'effetto che la violenza o la rabbia hanno su di me. Ho imparato ad essere tranquillo, a non esprimermi, ho imparato a non differenziarmi, ad essere confluente con la famiglia o con l’ambiente. Una volta cresciuto - trent’anni più tardi - sto ancora attuando lo stesso comportamento, anche se non vivo più in una famiglia difficile e non ho più a che fare con quel tipo di vessazioni. Il carattere è un modo di essere che è stato adattivo allora e non è più utile, nonostante ciò si continua a utilizzarlo ancora adesso senza consapevolezza.

Piergulio: Il carattere comprende il comportamento, le emozioni e i pensieri?

Rita: È tutte queste cose.

Bob: Sono due le cose principali che includono le emozioni: uno è il comportamento, il modo di comportarsi stereotipato, l'altro è la modalità automatica di dare un significato alle cose, indipendentemente dal contesto. La fenomenologia di come creo significato è ferma ad un altro tempo e il “come rispondo” adesso è anch’esso fermo ad un altro tempo. Il carattere ha entrambe le parti: Gestalt fisse della fenomenologia individuale e risposte comportamentali automatiche. Entrambe sono state consolidate quando erano adattive ed ora può succedere che siano appropriate o meno. Allo stesso modo esistono le abitudini, abitudini percettive e abitudini comportamentali: non funzionano bene in questa situazione, ma possono funzionare bene in un'altra situazione. L'esempio che ho riportato ieri: se sei un Inuit e vivi in Siberia, indossare un cappotto di pelliccia nel mese di febbraio va bene; ma se ci si sposta a Karachi a luglio, indossare quel cappotto - dove ci sono 145 ° F - che io non so cosa sia in gradi Celsius, ma è molto, significa morire. Non perché la pelliccia è un male in sé, ma perché il cappotto non va bene in quella situazione. Si adatta alla situazione alla quale è più funzionale: febbraio in Siberia, ma non Karachi nel mese di luglio. Così, quando si trova qualcosa che funziona in una situazione e diventa stereotipato, abituale e continua in tutte le situazioni, quello è il carattere.

Piergiulio: Voi vedete il carattere nei vostri clienti? Ci entrare in contatto?

Bob & Rita: Certamente, tutto il tempo!

Piergiulio: È qualcosa di reale o è più un modello nella vostra mente?

Rita: Entrambe le cose; è qualcosa che si è consapevoli di aver costruito nel proprio ambiente perché la condotta in questo ambiente fosse adattiva (rivedi). Così è nella tua mente, nel tuo corpo, in risposta a qualcosa che era reale nella tua vita e che adesso non sta più accadendo.

Bob: Per esempio, se siete in coppia, e la tua ragazza o tua moglie dice "Sai, sarebbe bello se andassimo in vacanza presto" e la vostra risposta a questa frase è "Non faccio abbastanza?", che cosa è successo per far sì che quello che lei ha detto non è un desiderio e lo interpreto come una critica? Questo è il carattere: è così che io fornisco fenomenologicamente il senso a quello che lei ha detto, quindi non posso sentirla portare un desiderio che lo traduco in richieste o critiche. Io non sono nato in questo modo ed è qui che emerge il concetto di carattere: da qualche parte ho imparato che quando qualcuno porta un desiderio, in realtà vuole farmi una critica.

Rita: …e se chiedete a quella persona non avrà alcuna coscienza di aver dato quel significato. Quindi lui direbbe: "Lei ha detto che io non faccio abbastanza per lei". Se avete un registratore o una videocamera e fate risentire la registrazione di quello che effettivamente ha detto, la persona sarà stupita di scoprire che quello che ha sentito non ha niente a che vedere con quello che l’altro ha detto.

Bob: La parte interessante di questo fenomeno coinvolge considerevolmente la memoria.

Piergiulio: Immagino che la memoria in questi casi possa essere ingannevole...

Bob: Sì, i problemi sono dovuti al fatto che il suono effettivo di quello che si sente ha una vita memonica di circa venti secondi. Ciò che accade quanto viene immagazzinato in memoria è una mia interpretazione "Io non faccio abbastanza.” Questo viene capito! E quando si ricorda l’interpretazione questa è diventata realtà "Giuro che lei dice che non faccio abbastanza!"

Piergiulio: L’evento vivo non c'è più…

Bob: Quello che viene memorizzato è il senso fenomenologico che io ho dato alla conversazione. Non sto mentendo, quando dico "Lei ha detto… ", questa è la mia verità, ma non è esatto. Quello che ha detto è che lei vorrebbe andare in vacanza e divertirsi e io ho sentito qualcosa di diverso perché il carattere interferisce con le funzioni presenti.

Pg: Accade costantemente...

Bob: È vero, questo è ciò di cui la terapia si occupa.

Piergiulio: È valido anche per voi come individui?

Rita: Naturalmente! Speriamo ormai di essere più consapevoli di queste cose adesso, abbiamo svolto lunghi percorsi di terapia e siamo stati anche in terapia come coppia.

Bob: Come abbiamo discusso in precedenza, il carattere è utile quanto un’abitudine è utile. Le abitudini sono efficienti: posso allacciare le scarpe mentre io sto parlando con te, non ho bisogno di pensarci. È quello che la psicologia cognitiva chiama memoria procedurale, è sotto la soglia di consapevolezza, è un'abitudine. La stessa cosa se si tratta di guidare una macchina: quando qualcosa non va, poi ho bisogno di prestare attenzione. Se comincio ad andare in retromarcia e sento dei rumori strani "Oh, in questa macchina la retromarcia è giù, mentre nelle altre è su!”. Se vado per abitudine ad inserire la marcia erroneamente questo comportamento comporterà probabilmente un danno all'auto: il carattere. Se presto attenzione, mi rendo conto che posso modificare la procedura d’inserimento della marcia, le modifiche necessarie per guidare correttamente questa macchina ed essere in contatto con questa situazione.

Piergiulio: Ci sono situazioni dove frustrare il paziente è effettivamente utile. Sembra che voi non frustriate mai le persone.

Bob: In questo caso il problema è la domanda non la risposta

Piergiulio: Riformula la mia domanda se vuoi

Bob: Come dicevo la sera della proiezione del film, le persone sono abbastanza frustrate da se stesse e dal mondo. Se la domanda è se frustriamo le persone, la risposta è no: non abbiamo l'abitudine di frustrare nessuno. Qualche volta lo facciamo semplicemente non intervenendo non facendo qualcosa al loro posto: questo li fa muovere. Il loro sentirsi frustrati da un mancato intervento da parte nostra può diventare una spinta per provare a fare qualcosa di diverso.

È come con i bambini, se li porti in braccio tutto il tempo, non imparano da sé il loro stesso funzionamento. D'altra parte non puoi prendere bambini di sei mesi e metterli sui loro piedi quando non hanno l'apparato muscolare e neurologico per camminare. Così aiutiamo i clienti a spingersi oltre ad andare più lontano; ma non lo fai in questo modo [si siede sulla sedia a braccia conserte] "Fallo tu!". È frustrante per il cliente non essere salvato. Ma c'è così tanta frustrazione nel mondo che non hai bisogno di creare ulteriore frustrazione per le persone. La vita è frustrante, la vita è difficile a volte. Così per noi frustrare “le persone” non una pratica deliberata, piuttosto non le salviamo dall'essere frustrati delle volte. Vuoi aggiungere qualcosa Rita?

Rita: aehm....non so quale possa essere la motivazione per frustrare i clienti. Ciò che vedo qualche volta è che frustrare è un modo per ottenere che qualcuno veda qualcosa che non vede.

Piergiulio: Stiamo guardando la Seduta in cui Perls frustra Gloria - frustrando il suo bisogno di averlo come padre - rispondendo in modi differenti "Non sono tuo padre, non sono tuo padre"

Rita: Penso [che Perls] avesse alcune motivazioni in mente, voleva che Gloria vedesse qualcosa o che lei si comportasse con lui come faceva con suo padre. Perls vuole che lei capisca qualcosa. La mia opinione è che quando le persone sono frustrate vedono di meno, non di più. Si chiudono in sé, si sentono inconsolabili, imbarazzati, provano vergogna, emergono tutte queste emozioni negative.

Non penso che frustrare crei l’ambiente in cui le persone imparano cose su se stesse. Penso che un ambiente molto migliore sia quello che invita i clienti a sviluppare un interesse per se stessi e a osservare che cosa stanno facendo, perché i clienti vogliono qualcosa da noi anziché sentire umiliazione, frustrazione o vergogna. Non riesco a figurarmi una situazione dove ciò sia di aiuto.

Bob: Ma non siamo nemmeno sempre garbati! Prendi la coppia con cui abbiamo lavorato ieri, quando ho detto “Capisco le tue parole, ma non ho idea di cosa tu voglia dire"...

Rita: Esatto, questo significa dire la verità. Le hai detto "Stai dicendo molte parole, ma non hanno alcun senso per me”: così facendo puntualizzi, sottolinei ciò che [i clienti] stanno facendo. Non induci imbarazzo, non li fai sentire come fossero stupidi, né gli impedisci di muoversi in qualche direzione.

Bob: C'è una storiella famosa su Fritz Perls ad Esalen. Stava camminando verso casa sua lungo un sentiero sterrato e uno degli operai della manutenzione, Celic, stava scavando una buca. Fritz si fermò, come fanno gli uomini, per osservare Celic che scavava una buca. Perls disse a Celic che avrebbe dovuto insegnare in uno dei suoi workshop. Celic rispose: "Tu stai insegnando alle persone a pulirsi il culo". Ecco da dove viene la frase [n.d.r. non siamo riusciti in seguito a rintracciare l’origine di questa storia]. Parte della cultura della frustrazione è "se frustro te, tu imparerai a pulirti il culo". In termini teorici, invece di manipolare l'ambiente affinché ti supporti, accresci il tuo stesso sostegno.

La parola che userò è forte, ma non gli do un significato in termini clinici: c'è una leggera paranoia in questo. La paranoia è che se ho paura di andare a parlare a quell'uomo, voglio che tu lo faccia per me. Potrebbe essere vero come non vero che quella persona è pericolosa. Potrei essere terrorizzato dal parlare con quell'uomo. Poni attenzione al terrore, non alla manipolazione, in questo modo non c'è manipolazione. Implicitamente in quel modello di frustrazione e in quella cultura, il cliente cerca di farmi fare qualcosa che dovrebbe fare lui, ma io non ci sto, non ho intenzione di stare qui seduto a fare qualcosa al posto tuo, farò sì che tu lo faccia per te stesso. Sapere distinguere le varie situazioni, quando qualcuno è manipolativo...

Rita: ...anche allora, confronti la manipolazione.

Bob: Certamente. 

Piergiulio non frustrereste qualcuno che sta manipolando?

Rita: No, non lo farei.

Piergiulio: Trattereste questo come un'interruzione di contatto?

Rita: È un'interruzione di contatto. Ma il modo in cui lo tratto sarebbe molto semplice e diretto, invece che renderli frustrati per vedere che cosa stanno facendo. Certamente vorrei affrontare la manipolazione, ma non frustrando, non lo troverei utile.

Piergiulio: Grazie molte

Bob & Rita: Prego!
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