Centro di Sessuologia
della Gestalt di Torino

La visione del Centro di Sessuologia della Gestalt vuole comprendere il fenomeno della sessualità in una prospettiva di campo, ossia collegando le persone al loro ambiente di vita ed esplicitando i diversi piani d’esperienza che influenzano i vissuti personali; l’intreccio fra le diverse aree di esperienza - corporea, sessuale, affettiva, identitaria, psicologica, relazionale, socio-culturale ecc…- ci porta all’incontro con le particolarità e le differenze. 


In questo Centro non solo ci prendiamo cura del singolo disagio, ma soprattutto lavoriamo in un'ottica di prevenzione e di crescita. Il nostro intento è di sostenere gli esseri umani a trovare se stess* nelle esperienze sessuali, a permettersi di incontrare il mondo attraverso relazioni vive e trasformative, e realizzare percorsi di crescita non prevedibili, unici e personali.

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Le nostre figure professionali

Per questo riteniamo che le nostre figure professionali siano complementari fra loro:

psicoterapeuti/e sessuologi/he, educatore/trice sessuale, sex counselor, l’educatrice perinatale, la fisioterapista del perineo. Insieme vogliamo dare un contributo per diffondere una cultura della sessualità più aperta alle umane differenze, in grado di aprirsi a modi nuovi di vivere le relazioni anche avventurandoci fuori dai luoghi comunemente permessi e/o omologati.

Scopri chi siamo

Terapia Sessuale

Consulenza Sessuale

Formazione

Percorsi di orientamento e identità sessuale

Scopriamo la sessuologia...

La sessuologia è un settore multidisciplinare che studia gli aspetti biologici, etologici, medici, psicologici, pedagogici, culturali e sociali della sessualità.  È aperta ai contributi che le varie figure professionali possono offrire sulla base della propria preparazione specifica. La sessualità viene vista in un ampio campo esistenziale e la complessità che ne deriva è portatrice di ricchezza e bellezza, ma anche di malesseri e disagi. I vissuti sia individuali sia collettivi, se trattati nel loro insieme e con competenze specifiche, possono diventare utili nel trasformare le sofferenze in risorse condivisibili.

Ne fanno parte tutt* coloro che si occupano della salute sessuale (sessuolog*, ginecolog*, ecc...)

A livello legislativo e professionale il/la sessuolog* è invece una figura ancora in via di definizione. Per questa ragione, attualmente la figura di riferimento per le problematiche psicologiche della sessualità e dei disturbi sessuali è lo psicoterapeuta e la psicoterapia è il trattamento, in coerenza anche con quanto deliberato dal Collegio dei Professori e Ricercatori di ruolo di Psicologia Clinica delle Università Italiane. 


SESSUOLOG* E COUNSELOR SESSUALI:
chi sono e cosa fanno. 

Quali sono le differenze? 

I/le sessuolog* sono psicoterapeut* o medici, si occupano di salute mentale, di prevenzione e della cura dei disturbi sessuali e delle parafilie.

I/le sex counselor sono professionist* riconosciut* da Associazioni di categoria, che offrono percorsi di crescita personale. Sono più diffus* all'estero che non in Italia, dove non c'è ancora una regolamentazione istituzionale. 

Entramb* sostengono individui o coppie a conoscere il proprio corpo e ad affrontare paure ed introietti.

La mancanza di desideri La mancanza di desiderio, ad esempio, è un disturbo che può essere affrontato con un percorso di counseling in quanto largamente influenzato da una scarsa conoscenza di sé e di quali aspetti del contesto stimolano l’eccitazione. La voglia di fare l'amore, infatti, dipende dal contesto, dalla relazione e anche dal tipo di stimolazione. Non sempre i partner riescono ad esplicitare le proprie differenze sessuali e quindi il/la counselor lubrifica il loro dialogo.

Talvolta il counseling non è sufficiente in quanto nello sfondo sono presenti sospesi, anche di lunga data, che impediscono alla coppia o agli individui di risolvere le difficoltà attraverso dinamiche di conflittualità, lotte di potere o sintomi di malessere. Le sensazioni sessuali possono evocare sentimenti dolorosi ed esperienze traumatiche piuttosto che di piacere. Allora il campo di pertinenza è quello della sessuologia.

La Sessuologia della Gestalt si occupa dunque non solo di prevenzione, ma anche di malessere quando diventa psicopatologia.

Counselor e sessuolog* lavorano per sostenere le persone a trasformare le relazioni per renderle più intime, eccitanti, creative, lavorando sulla consapevolezza di ciò che è piacevole e stimolante per ciascuno e sulla capacità di comunicarlo al/alla partner.

Inoltre si occupano di promuovere la cultura della sessualità affinché accolga e trasformi in parole e pensieri le esperienze che gli esseri umani desiderano attraversare. Questo processo è fondamentale per evolvere, incontrarsi e trovare se stessi.


E l'educazione sessuale?

Nella nostra cultura dove il sesso è storicamente collegato a qualcosa di sporco e al male molte esperienze sono precluse o pesantemente giudicate, sicuramente non sostenute, con l’effetto di lasciare isolate persone o interi gruppi. Ad esempio, l’autoesplorazione del corpo è poco praticata e ancora associata alla vergogna. Nelle scuole non si parla né di genitali se non su un piano scientifico e medico, né di esperienze sessuali.

L'Educazione sessuale è un luogo di dialogo facilitato da counselor o sessuolog*  utile per aiutare i/le giovani a conoscersi rispetto agli stimoli per ciascun* più adatti ad esprimersi con pienezza e sentirsi bene nelle situazioni intime.


Per la terapia della Gestalt il cambiamento degli esseri viventi dipende dal campo (“Organismo-Ambiente”) e non solo dagli individui presi singolarmente.

Dunque è necessario lavorare non solo con i singoli, ma anche con il “sociale” (scuole, famiglie, genitori, luoghi di cultura e di politica, ecc.). Counselor, educatori, sessuologi lavorano per sostenere gli individui ad incontrare e trasformare l'ambiente per renderlo “assimilabile” (cioè parte di me) e, in questo incontro, poter crescere


Sessuologia della Gestalt

Mariano Pizzimenti/Barbara Bellini

FrancoAngeli, 2022


Questo manuale è ambizioso, non solo perché pretende di riempire un vuoto nella clinica della Terapia della Gestalt, ma anche perché fornisce spunti per un'attualizzazione del concetto stesso di sessualità e di sessuologia. Il libro approfondisce una clinica e una teoria delle disfunzioni sessuali e delle parafilie basate sulle evoluzioni della Terapia della Gestalt.


La rivoluzione sessuale è tutt'altro che completata! Le resistenze e le violenze che ancora oggi si oppongono alla parità tra i generi, così come l'arroccamento di morali di ispirazione patriarcale e religiosa, evidenziano che il controllo della sessualità e delle sue forme di espressione è ancora un potente strumento di controllo di oppressione sociale. In "Sessuologia della Gestalt" si evidenzia il superamento del patriarcato come tappa imprescindibile per poter godere del sostegno che la sessualità può fornire allo sviluppo delle società umane. Si entra quindi nel merito dei disturbi sessuali e delle parafilie dal punto di vista e grazie agli strumenti della Terapia della Gestalt,  con una rilettura di uno dei concetti più affascinanti della Gestalt, ovvero il "sé" e il cosiddetto "modo-medio" dal punto di vista della sessualità.


Mariano Pizzimenti e Barbara Bellini portano avanti da anni la visione per cui la sessualità è collegata al piacere, alla creatività, alla cura e alla crescita. Come tale, è una forza che sostiene tutte le relazioni umane, anche laddove la sessualità non si esprime nella sola forma genitale. Essa può portare sviluppo sociale, fermento culturale, vitalità nei luoghi di lavoro e, infine, sostegno nel setting terapeutico. 

Aggressività e sessualità. Il rapporto figura/sfondo tra dolore e piacere

A cura di Mariano Pizzimenti

FrancoAngeli, 2015


Gettando le basi della Terapia della Gestalt, Fritz Perls sostituì il primato della libido di Freud con il concetto di aggressività dentale. Da allora, i gestaltisti si sono sempre meno interessati alla sessualità e hanno considerato l’aggressività solo come fame. È arrivato il momento, sostiene l’autore, di superare le false dicotomie e di ripensare la relazione tra aggressività e sessualità come un flusso ininterrotto di figura-sfondo.


Fame e Sessualità sono due istinti, due forze fondamentali naturalmente in equilibrio nel mondo animale. La fame ci porta a distruggere parti dell'ambiente per trasformare questo materiale e assimilarlo, dunque ha a che fare con l'aggressività e la capacità di differenziarsi e separarci-da. La Sessualità invece è una forza che unisce e, in quanto tale, supera le differenze. Può attrarre persone completamente diverse tra loro e far compiere "imprese" apparentemente impossibili.

Sessuologia e dintorni

By Centro Sessuologia Gestalt 22 Oct, 2023
di Barbara Bellini È “probabilmente” il disturbo sessuale più diffuso. “Probabilmente” perché alle statistiche manca tutta quella fetta di popolazione che non lo accusa come un disturbo, ma che lo considera normale. Non consideriamo la mancanza di desiderio come un disturbo quando la persona non è interessata a vivere le sue relazioni attraverso le sensazioni genitali e l'orgasmo, come accade per chi sceglie l’asessualità. L’intenzionalità che emerge nelle esperienze di asessualità può essere quella di incontrare il mondo su altri piani (affettivo-amicale, intellettuale, ecc.) e l’asessualità può essere vissuta in un'esistenza carica di energia erotica. La mancanza del desiderio può essere espressa da entrambe le persone in una coppia di lunga durata. Nella nostra cultura eurocentrica, eterosessuale e monogamica è considerato normale che una coppia che sta insieme da vent’anni o più accusi un drastico calo del desiderio sessuale. Crediamo che anche questa confluenza culturale dipenda dal considerare la sessualità attraverso il filtro della morale religiosa e che sia sostenuta dalle caratteristiche della cultura patriarcale. Se il fine della sessualità è la riproduzione, è “normale” che chi sta insieme da vent’anni o più, con un’età dei partner intorno ai 50 anni, non faccia più sesso, perché una coppia di questa età difficilmente vorrà o potrà ancora avere figli. Se consideriamo la mancanza di desiderio come un adattamento creativo, allora dobbiamo interrogarci sulle funzioni che può avere la desensibilizzazione di una parte del corpo così importante per il nostro benessere psicofisico. La nostra esperienza clinica ci porta a dire che l'intenzionalità succedanea che esprime la mancanza di desiderio può essere quella di vivere una vita serena e tranquilla, priva di dolore e di pericolo, escludendo le sensazioni genitali. Si privilegia la sicurezza a scapito della crescita. Talvolta questa soluzione funziona, pur con i suoi costi (ad esempio in termini di scarsa vitalità) altre volte no e la coppia rischia la morte stessa della relazione. Le nostre coppie stanno facendo uno sforzo e pagando dei prezzi per resistere alla separazione ormai dilagante. È probabile che il calo di energia sessuale non sia intrinseco alla coppia di lunga durata, ma dipenda dal rimanere aggrappati ad un modello patriarcale di coppia che forse non è più sostenente per le caratteristiche del nostro secolo. È paradossale che sulla coppia monogamica si basi tutta la progettualità familiare, e non ci sia sostegno a livello culturale per esplorare percorsi alternativi, modi differenziati di essere coppia, nonostante si stia dimostrando la realtà più fragile e difficile da sostenere. Alla coppia è richiesto non solo di fornire protezione, compagnia e sicurezza economica, come è sempre stato da 12 millenni a questa parte. Dalla rivoluzione agricola al dopoguerra, la famiglia è stata indispensabile per la sopravvivenza economica. Dalla seconda metà del secolo scorso in poi, sempre più è possibile affittare una seconda casa e separarsi. Pur impoverendosi, le persone sopravvivono e questa è una novità. I partner oggi hanno alzato le aspettative legate all'essere coppia: non basta protezione economica, vogliono ricevere amore, attenzioni romantiche e di sentirsi desiderati. Prima della rivoluzione agricola non aveva senso di esistere la coppia monogamica e la sessualità era vissuta all'interno del gruppo dei cacciatori. Rafforzava i legami comunitari. L'avvento dell'agricoltura ha modificato profondamente non solo la struttura economica e sociale, ma l'esperienza sessuale. Nasce la società patriarcale come oggi la conosciamo , basata sulla proprietà privata, l'accumulo di beni e tecnologie che vengono tramandati nelle generazioni. In una parola: il "patrimonio". La sessualità spesso è sostituita con l'eccitazione data dall'aumento dei beni, che non comporta rischi in quanto i beni sono oggetti e quindi, a differenza degli esseri umani, sono controllabili. Il patriarcato si esprime nel possesso, dominio, controllo, nell'eliminazione dei nemici, dei predatori, delle erbe infestanti, tutto ciò che può portare alla perdita del controllo. Così nella coppia. Privilegiare la monogamia vuol dire preferire la sicurezza e ridurre il rischio di soffrire, rinunciando all'eccitazione portata dalla presenza di altri partner e/o dalle fantasie e ricerca di esperienze nuove. Tranquillità e sicurezza versus eccitazione e crescita. Consapevoli che se diminuisce molto la sicurezza l'ansia aumenta e troppa ansia porta a desensibilizzazione e chiusura nella coppia. Così come troppa sicurezza e tranquillità porta alla noia e all'inedia che nuovamente desensibilizza e allontana. Avere relazioni extraconiugali risveglia la sessualità, ma rimaniamo sempre all'interno del modello patriarcale della coppia, anzi, avere amanti lo rafforza, più che denunciarne le crepe. Quando la mancanza di desiderio è espressa solo da una delle due persone, allora questo fenomeno ha caratteristiche molto diverse da quello precedente. Tipicamente lo manifesta la donna nei confronti dell’uomo, ma ora che le relazioni stanno diventando più paritarie si manifesta anche nell’uomo e nelle coppie gay e lesbiche. La frigidità è un disturbo nel momento in cui la donna vorrebbe vivere la sessualità, ma non ci riesce. In questo caso parliamo di una gestalt fissa, ovvero un adattamento che si ripropone in quanto l’intenzionalità originaria (il modo in cui la persona vuole vivere pienamente la sessualità) non viene raggiunta e l’intenzionalità succedanea diventa la migliore forma che riesce a creare. La desensibilizzazione genitale può diventare la migliore soluzione possibile per la donna per portare avanti un rapporto che non riesce a modificare. Rinunciando a vivere le proprie sensazioni sessuali, esprime un rifiuto non solo di aspetti relazionali, ma in un'ottica sociale più allargata, di un modo specificamente culturale di vivere la sessualità in cui le donne non si riconoscono. Se guardiamo la mancanza di desiderio (espressa da un solo partner) dal punto di vista di campo, frequentemente ci troviamo di fronte ad uno sbilanciamento all’interno della relazione: uno dei due sta diventando dominante nei confronti dell’altro/a che si vive oggettivizzato/a. Può essere una dinamica che crea sofferenza e che sta alla base di questo disturbo, oppure una conseguenza viziosa che si crea successivamente. In ogni caso contribuisce a creare sofferenza nella coppia. Un tipico esempio di dominanza ed oggettivazione è quando un partner chiede all’altro/a di fare l’amore anche se si accorge che questi non manifesta desiderio e poi insiste con frasi tipo: “Vedrai che se poi cominci ti piace” o “È tanto tempo che non lo facciamo, io ne ho bisogno” o “Fallo per me” o “Non puoi lasciarmi così”. Quest’ultima frase è frequente quando il/la partner perde il desiderio durante il rapporto sessuale. Chiedere ad un’altra persona di fare sesso anche se non lo desidera, vuol dire chiederle di rendersi un oggetto e noi diventiamo dominanti. Gli oggetti operano non partendo dal desiderio ma da un programma, gli esseri viventi agiscono spinti dal bisogno o dal desiderio. Se io mi forzo a fare l’amore senza sentirne il desiderio ma per la richiesta dell’altro mi rendo un oggetto, perché nego le mie sensazioni. È anche possibile che facendolo io poi sviluppi un’eccitazione genitale e magari sperimento anche una forma di orgasmo, ma la mancanza di desiderio resterà impressa in noi e tenderà a fare aumentare il rifiuto nei confronti dell’altro/a. La mancanza di desiderio ha molti tratti in comune con l’impotenza erettile o lubrificatoria. La differenza principale è che, mentre nell’impotenza erettile o lubrificatoria la persona dice di voler fare sesso con l’altro/a “ed è il suo pene o la sua vagina che non funziona”, nella mancanza di desiderio la persona non sente il desiderio, quindi, non c’è una spaccatura interna. C’è un sentire a cui potersi appoggiare. La mancanza di desiderio non è un problema, ma è una soluzione che denuncia ciò che sta avvenendo nella coppia. Il fatto che venga espressa solo da uno dei due non vuol dire che sia un problema di quella persona, ma solo che questa è l’elemento attraverso cui la sofferenza della coppia si sta esprimendo. Probabilmente è l’elemento più sensibile o più sotto pressione o con una storia che gli/le fa vivere con sofferenza l’essere oggettivizzata/o. Come possiamo vedere, la terapia della Gestalt ha una visione molto diversa dall’approccio cognitivo-comportamentale. Per quest’ultimo il sintomo (mancanza di desiderio) non è la soluzione che la coppia è riuscita a trovare per restare insieme, ma è il problema da eliminare grazie ad un approccio strategico. Se nel lavoro con le coppie non emerge questa voglia di esserci l’un* per l’altr*, la mancanza di desiderio può denunciare una situazione di co-dipendenza. Cioè una situazione in cui io vorrei staccarmi dal mio/a compagno/a che riconosco essere dannoso/a per me, ma non ho la forza.
By Centro Sessuologia Gestalt 15 Oct, 2023
di Bellini Barbara Il termine impotenza è fuorviante, o meglio, è il classico esempio di una diagnosi che non spiega il problema ma contribuisce fortemente a crearlo. Se comincio a pensare che il mio pene o la mia vagina hanno qualcosa che non va, che non funzionano, apparentemente mi assolvo, cioè mi separo da una parte di me che definisco disfunzionale, mentre “io” vorrei e continuo a desiderare ardentemente di avere un rapporto sessuale con l’altro. In questo modo però io mi autodefinisco impotente, in quanto non ho potere su una parte di me che sfugge al mio controllo ed agisce contro la volontà. Se invece ci assumiamo la responsabilità di rendere impossibile la penetrazione e accettiamo che, aldilà di quella che può essere la nostra percezione emotiva o cognitiva, noi stiamo esprimendo un rifiuto al contatto genitale con l’altro, ecco che torniamo ad essere “potenti”. La difficoltà sta nel fatto che non siamo consapevoli di questo rifiuto. Ci siamo alienati da esso e ne scarichiamo la difficoltà su una parte di noi, desensibilizzandoci. Facciamo come Muzio Scevola che brucia la sua mano sul braciere per punirla di aver accoltellato la persona sbagliata. La potenza comporta respons-abilità. Cioè la capacità di confrontarsi col partner e di sostenere il confronto. Ecco un primo dato relazionale, l’impotenza erettile o lubrificatoria, è sempre una deresponsabilizzazione rispetto ad una dinamica relazionale. È una strategia di sopravvivenza che si esplica attraverso il “vorrei, ma non posso”. Nella mia strategia di sopravvivenza è più accettabile risultare inadeguato/a, che non “cattivo/a”, incapace, o rifiutante. “Non voglio” non è esprimibile…. molto meglio: “Non posso”. Nel caso dell’impotenza erettile secondaria è interessante notare che il primo episodio riportato dai pazienti è generalmente collegato a situazioni di richiesta e “pretesa” della prestazione sessuale in cui l’uomo ha sperimentato il senso di impotenza non solo a livello genitale, ma anche nelle altre dinamiche relazionali. Nella relazione con il/la partner si è sentito inadeguato, non in grado di soddisfarla/o, non “abbastanza” per lei/lui. Nella sua esperienza una situazione di pressante richiesta sessuale può rappresentare un attacco al suo valore. Domande quali: “Perché non vuoi fare l’amore?”, “Non mi vuoi più?”, “Non mi vedi più bella/o?” facilmente attivano un senso di colpa e privano il sesso della spontaneità e libertà che sono indispensabili per i riflessi sessuali. L’eccitamento sessuale sia negli uomini che nelle donne è una reazione spontanea al desiderio e alla stimolazione efficace. L’attesa e la pretesa della prestazione sessuale riflettono una situazione relazionale di difficoltà che preme per emergere in superficie. Se i partner non rischiano di affrontarla, allora facilmente finiranno per evitarla. Da questo momento la paura dell’insuccesso sessuale diventerà la causa immediata dell’impotenza. Anche nell’esperienza femminile l’ansia da prestazione ha un effetto potente sulla mancanza di lubrificazione. Nelle situazioni di sessualità “inesigente”, in cui i terapeuti invitano la coppia ad uno scambio di sensazioni piacevoli vietando il coito, la donna, liberata dalla pressione di dover necessariamente eccitarsi, avere un orgasmo e soddisfare il/la compagn*, spesso arriva a provare intense sensazioni erotiche e sensuali. Il fatto che il/la partner “rinunci” al desiderio di appagamento orgasmico potrà essere, nell’esperienza della donna, una prova molto toccante di quanto gli/le sta a cuore il piacere sessuale della compagna/moglie. In questa situazione, essa potrà riappropriarsi della “responsabilità” del proprio piacere sessuale, scoprendo che non verrà respinta o umiliata se esprime i propri desideri e se mostrerà al partner di avere una personalità attiva. Cominciare ad accettare che io non possiedo un pene o una vagina, ma “sono” anche pene e vagina e mi esprimo attraverso le azioni, è fondamentale per recuperare il senso del mio radicamento nella situazione relazionale: cioè la mia forza personale. Spesso le persone non capiscono come sia possibile aver voglia di fare l'amore, ma non avere l'erezione o la lubrificazione. Oppure essere eccitati a livello genitale in una situazione relazionale in cui non è in gioco il sesso. Accade specialmente agli uomini per motivi di natura estetica. È assolutamente non appropriato se un uomo ha un’erezione mentre sta consolando un’amica/o che piange, o sta giocando con un bambino, o sta ballando o è coinvolto in attività eccitanti che, però, non sono sessuali. Ovviamente questo vale anche per le donne, ma siccome il fenomeno dell’umidificazione è meno evidente, le donne sono meno spesso costrette ad alienarsi dai propri genitali. Chiediamo a noi stessi di funzionare a compartimenti stagni. Di avere sensazioni che percorrano tutto il nostro corpo, ma non i genitali. Siamo allenati ad alienarci dai nostri genitali. Il termine “penetrazione”, usato per descrivere l’amplesso sessuale rimanda all’azione del pene di entrare a fondo, rendendo la vagina un “dentro” passivo, e il pene un intrusivo attivo. Questa è una visione assolutamente uomo-centrica che non ha nulla di fenomenologico. Da un punto di vista fenomenologico ci sono volte in cui avviene la penetrazione, volte in cui avviene la “vaginazione” e, il più delle volte, entrambe contemporaneamente. È però interessante che il termine vaginazione non esiste, è un neologismo che dovrebbe entrare nel vocabolario corrente e che aiuterebbe molto nel superamento dell’impotenza. Nel linguaggio comune e volgare si dice che la donna “la dà”. Eppure è la vagina che “prende” dal punto di vista fisico. Spesso la mancanza di lubrificazione nella donna esprime proprio il rifiuto a farsi penetrare. Il rifiuto a questa azione intrusiva dell’uomo, a subire passivamente. Questo è ancora più evidente nel vaginismo, in cui, anche con l’uso di lubrificanti, il dolore è intenso e impedisce totalmente la penetrazione. Anche nell’uomo, d’altronde, l’atto della penetrazione può essere fonte di paura. Ci sono uomini che sentono che non sono loro a penetrare la donna, ma è questa che li “vagina”. Questa percezione, invece di rilassarli, li fa sentire inadeguati, in pericolo. La famosa fantasia della “fica dentata” che potrebbe castrare l’uomo riflette questo genere di percezione. Essa è vissuta non come dato fenomenologico, ma come qualcosa di “sbagliato”, “che non va bene”: l’uomo non dovrebbe sentire così o la donna non dovrebbe comportarsi così. Molti uomini riportano fenomeni di impotenza vissuti con donne inaspettatamente molto attive e intraprendenti.
By Centro Sessuologia Gestalt 07 Oct, 2023
di Barbara Bellini Il corrispondente maschile del vaginismo viene normalmente definito col termine generico di penepatia, che include anche fenomeni come il priapismo ed il pene ricurvo. Se parliamo del solo fenomeno dell’erezione dolorosa, ritroviamo una dinamica molto simile sia nell’uomo che nella donna, cioè una contrazione del perineo e dei muscoli della vagina nella donna e dei corpi cavernosi del pene nell’uomo che si oppongono alla dilatazione nella prima e all’erezione nel secondo. Mentre per il vaginismo la componente psicologica è ormai quasi universalmente accettata, il dolore erettile dell’uomo viene quasi sempre riportato a cause organiche e più raramente gli uomini vengono in terapia per questo motivo. Se in tutti i disturbi sessuali vediamo un vissuto di alienazione dai propri genitali, nel vaginismo e nel dolore erettile questa alienazione diventa massima. La persona è totalmente inconsapevole di opporsi a qualcosa che sta dicendo di voler fare. Nei vari tipi di impotenze e di orgasmi/eiaculazioni precoci assistiamo spesso ad una sorta di manipolazione del vissuto genitale, mentre in questa sofferenza l’opposizione è netta e violenta: una violenza, tuttavia, totalmente alienata. Frequentemente le donne manifestano vissuti di rabbia, verso se stesse quando il vaginismo è tale da impedire completamente la penetrazione verso il compagno quando la contrazione rende il rapporto doloroso. In questo caso la rabbia è verso il partner che insiste per avere ugualmente il rapporto. Nell’uomo la dinamica è simile. La rabbia è in genere rivolta verso di sé, ma spesso anche nei confronti del/la partner, accusat* di non essere sufficientemente delicat*. L’identificazione con la propria rabbia è una tappa spesso fondamentale per il lavoro con il vaginismo e il dolore erettile. La rabbia è frequentemente portata in modo reattivo nelle sedute ed il/la terapeuta facilmente si trova ad essere accusato di non capire il vissuto della persona. Risulta particolarmente difficile sostenere la persona ad assumersi la responsabilità del fenomeno poiché l’alienazione è totale. Il/la professionista deve essere pront* ad avere momenti di confronto molto “caldi”. È importante arrivare a costruire un clima di forte intimità e sicurezza prima che la persona accetti di guardare alla propria sofferenza come un’alleata e non come una nemica e lo stesso vale per il rapporto con il/la professionista. Per la persona è impossibile riuscire a sentire la propria forza nel rilassare. La maggior parte di noi eurocentrici, condivide un introietto culturale che la forza risieda nella contrazione, nella durezza, nella violenza. Poche donne affermerebbero di sperimentare la forza della loro vagina nel rilassarne i muscoli e nel “prendere” il pene o le dita o un oggetto. La maggior parte riferiscono al massimo l’esperienza di aprirsi ad accogliere. Eppure noi rilassiamo i muscoli della mandibola per aprire la bocca e addentare, afferrare, succhiare il cibo. Solo i bambini piccoli e i gravi disabili vengono in-boccati. Nel vaginismo la donna contrae i muscoli della vagina come se dovesse proteggersi da uno stupro, che però non riconosce come tale, e se il rapporto avviene lo stesso le conseguenze sono simili. Con l’uomo non si pensa mai alla paura di essere stuprato, se non nell’ano, perché lo stupro è verso una cavità, verso chi non vuole accogliere. Ma il significato della parola stupro non è legato alla penetrazione. Stupro indica offesa, costrizione, percosse, violenza. Perls sosteneva che spesso la masturbazione maschile si traduce in uno stupro del pene da parte della mano. Non è il pene, sono le mani che stuprano, che percuotono, bloccano, costringono. Sia nel vaginismo che nel dolore erettile, la persona vive il contatto genitale con l’altro con la paura del dolore, della costrizione, della mancanza di cura. Non sento di aver paura dell’altro, anzi l’altro non c’entra, sono io che provo dolore, sono io responsabile. È un processo simile alla vergogna, in cui chi la prova attribuisce a sé la responsabilità di ciò che prova: “Tu non centri, sono io che mi vergogno”. Non riconosco più che è l’azione dell’altro che genera in me la vergogna, sento solo la vergogna (Robine, 1995). Insieme all’identificazione con la rabbia, il riconoscimento della vergogna come fenomeno di campo e non intrapsichico è un’altra tappa fondamentale nel lavoro con vaginismo e dolore erettile. E noi terapeut* siamo parte del problema. Noi siamo l’ambiente stupratore, noi facciamo vergognare la/il paziente, noi facciamo provare dolore, noi siamo l’altro. Se non accettiamo questa responsabilità, se vogliamo essere visti solo come aiuto, se siamo compulsivamente amorevoli, la persona non potrà dare valore alla paura, alla rabbia e alla vergogna, comprendere che ruolo giocano nella sua vita e da cosa lo stanno proteggendo.
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